Archetipi

Archetipi i 22 movimenti della forza
Questo secondo libro sugli archetipi è nato un po’ per caso. Potremmo considerarlo il terzo perché Vittoria, incontrare l’anima gemella attraverso gli archetipi, pubblicato nel 2016, è anch’esso un continuo giocare con le 22 lettere dell’alfabeto intese ed utilizzate come chiavi per andare dentro la nostra psiche.
Vittoria contiene una serie di motivazioni del perché questo percorso per archetipi venga considerato la via diretta, l’ultima spiaggia quanto a strategie per la conoscenza di sé, la possibilità di lasciar andare matrix, la capacità di darci un progetto nuovo coerente con il benessere.
Il mio primo libro su questa sperimentazione di chiama, Archetipi, la danza della vita, del 2012.
Ancora non so bene perché la mia esistenza è stata segnata da questo lavoro sugli alfabeti. Né so perché ho incontrato alcune persone che si occupano di questo o perché certe esperienze. Però è un bel lavoro, una bella vita. Non sto dicendo che è semplice, tutta allegra e spensierata, è profonda, motivata, ricca di intuizioni, comprensioni, di persone.
Ho spiegato in altri libri perché le lettere hanno un potenziale di energia, la capacità di interagire con la nostra intelligenza con la psiche e di comunicare con il profondo di noi stessi, l’inconscio. Le lettere, i segni, i glifi sono la nostra memoria.
Non sappiamo se siamo una storia, non è più certo che ci sia una linearità nei vissuti dell’umanità, pare che abbiamo dentro un’infinità di memorie, di contenuti, informazioni, una parte di questi li chiamiamo ricordi. Abbiamo dimensioni, che sono il campo dei nostri corpi, siamo più corpi, sistemi e apparati. Li conosciamo? Forse li percepiamo. Abbiamo memorie criptate in spazi infinitesimali della coscienza che sono più o meno accessibili. Più probabilmente non sono “memorie” ma “stati paralleli” in cui siamo mentre siamo qui. Il fatto è che a momenti si hanno altre percezioni, e sono vive, vivide come e forse più di quanto viviamo in terza dimensione, ossia nel mondo della materia. Quel poco che sappiamo è correlativo a come noi stessi siamo strutturati; esiste una realtà fuori, distinta, diversa da noi stessi?
Non sappiamo più se siamo immersi in un cosmo così come ce lo prefiguriamo, come ce lo trasmettono e insegnano. Né se i mondi delle relazioni, delle istituzioni, sono naturalmente così come li conosciamo. Non siamo più certi che la Terra abbia la morfologia e la storia che riteniamo abbia. Né che il nostro stesso corpo abbia effettivamente la forma, la struttura che pensiamo. In fondo, abbiamo la conoscenza del corpo così come ce lo rinvia il filtro della luce elettromagnetica, ma sappiamo che non siamo solo questa onda, né che la realtà delle cose si ferma in questa banda dello spettro che l’occhio intercetta.
Quanti dubbi, quanti altri interrogativi…
Mente, psiche, inconscio, il fatto di iniziare a percepirne le dinamiche non significa che possediamo e gestiamo queste parti di noi, eppure sono i nostri strumenti di viaggio.
Abbiamo esperienza di un corpo, di emozioni e sentimenti, del pensiero, ma anche qui, come decodifichiamo questo esperire? Osserviamo, e dall’osservare sappiamo trarre un obiettiva conoscenza di noi stessi o ancora applichiamo schemi interpretativi che non sono aderenti? Pare ci sia una notevole scollatura tra ciò che vorremmo vivere e ciò che viviamo, e accade da parecchie epoche.
Comunichiamo. Una parte dei nostri messaggi, la loro ricezione e le risposte hanno una corrispondenza, sono comprese, una buona parte non viene decodificata, o ci sfugge o non ci risuona.
Dove stiamo? Dove siamo?
Forse, più che essere trasportati da un pianeta, viaggiamo. Per dove? Non si sa.
Non è fuori che possiamo trovare delle risposte. Forse da dentro possiamo aspettarci qualche informazione almeno più aderente, percepita, esperita da noi stessi che siamo la domanda e la risposta.
Chissà in quanti modi abbiamo comunicato. Abbiamo sviluppato segni simboli gesti alfabeti e lingue. Linguaggi. Tutto questo lo portiamo con noi, ci ha permesso crescita, pienezza, sazietà. Ci aveva ingabbiato, stava diventando molto stretto. Abbiamo lasciato. A volte ancora lo vediamo, dove portiamo consapevolezza, sciogliamo e siamo leggeri.
Tutto quanto ho osservato fin qui è mediato da segni e lettere.
Le lettere.

Sono molto più che semplici segni convenzionali sui quali abbiamo costruito le lingue. Per le civiltà antiche la lettera è una dimensione, identità energia numero quantità valore semantica un universo e quanto altro.
Le lingue antiche erano conduttrici di energia proprio perché ad esse si riconosceva l’ente, il valore, la radice ontogenetica. Le parole costruite su una sequenza di lettere fondata sul senso sono archetipi, raggiungono la psiche, incidono sulla realtà, la svelano, la trasformano. Le parole costruite su sequenze convenzionali non hanno forza. Di fatto, probabilmente, non esistono parole costruite in modo convenzionale, le parole hanno il senso, siamo noi che lo intercettiamo o no.
Si fa in fretta a capire quanto ho scritto.
Non cito grandi autori, ciascuno trova la sua bibliografia. Cito da un piccolo libro di Paolo De Benedetti[1]: “Ogni lettera ha una forma, un suono, un nome, un numero e tutti questi elementi combinati hanno un loro valore e un loro senso. Allora forse per capire che tutto questo non ha un senso meramente astratto, speculativo, occorre ricordare quale valore e significato ha – la parola – nella lingua ebraica: non è puro suono o un puro segno, ma qualcosa di molto più concreto e efficace. Nella lingua ebraica il termine usato per “parola” davar, in realtà ha due significati: “parola”, naturalmente e “cosa”. Questo è emblematico della concezione ebraica del parlare dello scrivere e del raccontare, tutti aspetti che non sono così separabili come nella nostra mentalità (pag.49).
Nello stesso libro troviamo di Abraham J. Heschel: “Nella preghiera come nella poesia, ci volgiamo verso le parole non per usarle come segni di oggetti ma per percepire le cose alla luce delle parole. Le forze della parola sono di solito imbrigliate, devono essere liberate perché si facciano avanti, così da poter essere percepite. Le parole non vanno dette solo per consolidare la mente e imbrigliare il cuore, esse devono poter aprire l’intelletto, liberando i cuori” (pag. 54).
Questo mondo in cui parole e numeri sono due aspetti dello stesso ente, un movimento dell’universo, una vibrazione, apre a nuove percezioni della realtà e di se stessi. Proprio perché lettere e numeri hanno una forza vanno a interagire con le nostre forze, sono quantità, spazi-tempi, che vengono percepiti su diversi piani di realtà, in più dimensioni, ecco che frequentare questi enti apre porte per le dimensioni che siamo e che stiamo imparando a sperimentare.
Le lettere, i numeri, sono universi, hanno mille infiniti campi. Si entra in un numero, in una lettera e si ha la percezione dell’aprirsi di mondi, di potenzialità che immettono in sensazioni prima non conosciute, in informazioni diverse, altre, che non si codificano secondo la logica lineare del mondo della materia ma che hanno ugualmente linguaggi, metriche, di senso. Si entra in una lettera e si può creare un universo, questa la percezione.
Queste le esperienze in cui entravo e che riconducevo al mio “giocare” con gli archetipi, con i 22 movimenti della realtà, soprattutto dopo aver ripreso il gioco nella stesura di Vittoria. Avvertivo sempre più chiaro che era un fatto di esperienza e che, chi conteneva in modo corretto, pieno, i 22 movimenti era il mio corpo. Queste chiavi della psiche e della realtà, mi facevano entrare sempre più in una percezione dinamica dell’esistenza. Così avevo contattato un’insegnante che lavora con la bioenergetica e iniziato con lei un anno di ginnastica morbida diretta a scovare i movimenti infinitesimali dentro il corpo.
Le avevo chiesto:
- Mi interessa indagare la presenza e l’incidenza degli archetipi dentro di me, nel corpo. Che sia un’osservazione concreta, molto pratica, lontana da parole, interpretazioni, intellettualizzazioni. Credo che la bioenergetica possa essere la strada.
È stato un anno molto intenso di sperimentazione condivisa grazie alla quale davvero, pian piano ho cominciato a rendermi conto di flussi, movimenti, vibrazioni che attraversano il corpo. Certo, questo è il lavoro che fa la bioenergetica, in più, per me che venivo da anni e anni di frequentazione degli archè, era l’opportunità per osservare come questi flussi si muovessero, aumentassero, si incentivassero nel corpo, e non solo.
Quello che sentivo mettersi in attività in un fluire costante, sotterraneo, profondo e silente, era il pensiero. Stavano cambiando le modalità del mio pensiero. Lo sentivo mobile, flessibile, possibile, trasformabile, allora prima era statico? Era irrigidito?
Stavo in un mondo di continuo cambiamento. Vedevo schemi, impostazioni cui ero stata ancorata, in cui vedevo ferme le persone, ora che mi sentivo muovere in un continuo modificarsi del mio pensare, vedere, decodificare ciò che vivevo e ciò che avevo attorno.
La percezione di provenire da un pensiero lineare, come qualcosa che avanzava su una retta diritta e rigida, ora che mi sentivo esplorare il mondo da un pensare che spaziava in mille possibilità; un pensiero che potrei definire… a pacchetti.. a nuclei, li chiamerei “quasars” di “materia pensante”. Mi sentivo immersa e nello stesso tempo mi accorgevo che ero io che producevo in continuazione una materia che potevo definire: pensiero.
Nello stesso tempo, mentre esploravo il pensiero, non tanto nei suoi contenuti quanto nella sua morfologia ossia nel suo essere struttura e dinamismo, mi rendevo conto che entravo nelle mie emozioni, le attraversavo, mentre da esse mi lasciavo attraversare. Qui, ben altri pacchetti di “materia senziente” salivano, dilagavano nel corpo e, attraverso atteggiamenti, movimenti e gesti, uscivano, esplicitando me stessa nello spazio circostante. Oppure contattavo vibrazioni provenienti da “pacchetti” di emozioni accartocciate, bloccate, appesantite, tutto scorreva con fluidità e io mi ritrovavo più leggera e serena.
Sono arrivata a rendermi conto che, spesso, anche quando ci sembra di fare un lavoro concreto sul corpo, in realtà stiamo ancora all’interno del mondo della mente. Ecco perché certi nodi di emozioni profonde non si aprono né si sciolgono. È come se si continuasse a girarci attorno attorno, si intravede, ma il nodo non si apre. Quella memoria che continua a mandare vibrazioni pesanti e disagevoli, non si riesce a eradicarla. Un giorno ho avuto la lucidità di questo: stavo ancora nella mente, nonostante l’osservazione, la psicologia, i tanti percorsi fatti. Mente, o chissà chi altro, non mi permetteva di entrare. L’ho visto. Ho fatto l’unica cosa che mi restava, l’ultima strategia. Archetipi applicati ogni attimo che quell’emozione scomposta, scomoda, saliva. Pensavo e ricollegavo archetipi, camminavo pronunciando archè. Scrivevo e ad ogni concetto espresso aggiungevo archetipi corrispondenti.
Fino a che è accaduto. La grande profonda ferita si è permessa di aprire la porta.
L’ho consolata solo regalandomi lettere segni glifi numeri semi di pensiero fatti archetipi. I 22 movimenti della vita a disposizione per guarire la mia ferita ancestrale.
Da qual momento la risalita.
Così è nata la spinta a ricominciare a scrivere di lettere e di forze, raccontare questo mondo del quale sperimentavo sempre più la profondità, intensità, dinamicità e al tempo stesso percepivo la sistematicità che non è irremovibilità, rigidità, assoluto, ma mobilità, modularità, trasformazione, trasmutazione.
Un universo dinamico e sempre nuovo, questo scoprivo di essere. Così iniziavo a percepire la realtà. Dove per dinamismo e cambiamento non intendo semplicemente cambio di pensieri, di situazioni che alla fine rivelano pur sempre la partecipazione ad un pensiero condiviso dai più, dalla doxa. Mi sentivo andare dall’altra parte di ciò che ero stata fino a ieri. Mi davo delle possibilità di manifestazione di me molto diverse, quasi al contrario, forse stavo andando a perlustrare parti di me mai agite, forse poco riconosciute dal sistema, dalle impostazioni che avevo, ma sono io, questo avvertivo bene.
Una persona che adesso riconosceva di sé le parti in ombra con più attenzione e decisa a permettersele. Sì, stava svanendo la parte “bella buona e brava” e usciva con determinazione la parte forte, caparbia, anche poco tollerante, poco capace di sopportare, accettare, mettersi a disposizione degli altri. Stava uscendo la Francesca “fetentina”, avvertivo che amavo… con amore… le parti che la società non ci permetterebbe. Invece stavano sulla scena, con sfrontatezza e tenacia e io, contenta di ciò, le lasciavo dire dentro di me. Sapevo che, assecondando pensieri di spietatezza, così mi sarei ritrovata a essere e agire. E me lo permettevo.
C’era stato un lungo periodo di “non agire” all’esterno. Non avevo reagito ad una serie di eventi, non avevo risposto a dovere, mi ero eclissata trattenendo parole, gesti, interventi. Avevo spinto tutto dentro. Consapevole che agire fuori avrebbe danneggiato ancor più me; la strada era un’altra e andava conquistata. Io, dovevo diventare il modo di essere “altro”, “contrario” di ciò che ero stata se volevo riscattare me stessa. Darmi quel riconoscimento che dall’esterno non era arrivato. Dovevo diventare l’altra parte di me, quella parte che, non riconosciuta non agita, mi era venuta contro nell’altro da me che, io, avevo creato.
Ecco il separatore, l’accusatore, se non ci riconosciamo, se non agiamo la nostra parte forte e determinata, anche cattiva, ci viene incontro da fuori, e sono guai.
Un grande lavoro interiore. Una fucina di forze, spinte, movimenti, intenti, progetti.
La nuova esperienza degli archetipi attraverso la bioenergetica e l’intenso lavoro interiore, è di questo periodo. Così sono nati i pezzi sulle lettere che, come al solito, nascevano a sorpresa, nei posti più inusitati. Per strada, in macchina, nella piazza, in treno, mi fermavo e prendevo appunti.
Percepivo, sperimentavo il mio cambiamento. Il mio, non di altri.
Con una certezza:
- se percepisco la fluidità, la malleabilità del pensiero, allora queste chiavi, gli archetipi, ci permettono di trasformare, riformulare, permutare i pensieri, il mondo del pensare
- se riformuliamo i pensieri, a partire dalla consapevolezza che oggi abbiamo, con pensieri nuovi ed espansivi, trasformiamo la realtà.
Se gli archetipi fanno emergere la mia parte “altra”, “ombra”, è possibile integrare l’ombra, l’oscuro. È possibile gestirlo e agirlo all’esterno con consapevolezza, con determinazione, con un intento motivato, mirato, concertato. Far arrivare all’altro me stessa, ciò che sono, ciò che intendo comunicare da una strategia ben fatta. Evitare il conflitto, l’agire scomposto e non costruttivo, il rischio di farsi male. Invece, mandare un messaggio preciso, incisivo, conduttore della mia identità.
Perché io, innanzitutto sono diventata archetipo entità consapevole di sé nelle sue molteplici dimensioni e potenzialità, in equilibrio e in costante riformulazione.
Questo l’intento.
Questa, intuivo, era una strategia che metteva fuori gioco il conflitto esterno, la guerra insomma, il rischio di perdere energia, forza, e permetteva un modo diverso di superare lotte e irrisolti. Sia per le relazioni personali che per la società.
Perché io insistevo, non mi bastava dimenticare, lasciar andare. Volevo essere certa che quel copione io l’avevo superato. Che modalità di quel tipo, pur cambiando le situazioni, non si sarebbero mai più presentate. Ossia, io ero guarita.
Un lavoro da alchimisti, da persone che, consapevoli della dignità, sovranità e potere interiore, sanno agire sul mondo della forza, non delle mani, delle armi o delle parole di offesa. Dal pensiero, dall’atteggiamento che nasce da una giustizia che si è vista e conquistata dentro.
Perché io sono il mondo e il mondo è me.
Il tutto, grazie agli archetipi diventava concreto. Agire mirato e centrato.
Grazie agli archetipi posso costruire il mio intervento programmandolo con intelligenza e nella forza, in ogni sua parte.
La realtà si trasforma attraverso il sentire, le emozioni, gli atteggiamenti, le vibrazioni, ma alla base di ogni situazione è determinante “come”, “cosa” io penso di quanto vivo e sperimento. Le emozioni erano comprese, una sinergia emozione-pensiero che stava emergendo man mano che l’equilibrio delle tante parti di me si compiva.
Se andavo alla chiave “creatore” trovavo la conferma, dalla lingua ebraica mi giungeva che:
La parola è la cosa.
“Dio disse”, e dalla parola il mondo viene alla creazione.
La parola è verbo. I sostantivi sono deverbativi, provengono dal movimento, hanno in nuce il dinamismo.
Non esiste un universo statico, ma sempre in movimento. Il pensiero dinamico ha progettato ciò che diventa azione, ciò che diventa creazione.
Anche la scienza ci dice che tutto è movimento sin dalle sue parti infinitesimali, dagli impianti, energia, vibrazioni, particelle, un modo dinamico, a-locale, indeterminato, ma vivo. Perché noi, nel mondo del pensiero e della realtà esterna siamo così irrigiditi? Resistiamo il cambiamento?
Siamo in una realtà che va trasformata? Riportata all’equilibrio, alla naturalità, al senso? Lavoriamo sui nostri pensieri, lavoriamo sul pensiero per quella che è la sua reale natura, non nel suo essere concetto. Il contenuto di un pensiero è un qualcosa di già estrapolato dal fluire della vita, pensiero oggettivizzato, fissato in un’affermazione statica, stiamo nel flusso, nel movimento, energia, forza creante.
Lavorare con gli archetipi ci porta a manifestare il nostro personale, originale pensiero. Da qui il nostro unico personale modo di essere. Magari diverso dal pensare dei più, ma siamo noi. Questo è importante.
L’universo risponde a me, solo nell’autenticità di “chi sono” sale la vibrazione giusta, danzo la mia danza. Qui vibrazione per vibrazione, l’universo mi sente e mi risponde.
L’altro passo determinante è stato costruire fuori i criteri di matrix.
Come ho affermato all’inizio gli archetipi mettono in evidenza matrix, ci rendiamo conto della griglia avida e restrittiva che ci siamo cuciti addosso. Pare prima impossibile, poi arduo, infine difficile uscirne. Ne siamo usciti. Ad un certo punto pareva che matrix fosse stata scandagliata a tutte le parti. Avevamo vissuto la gabbia e il suo contrario, ma eravamo ancora nella mente. Mente fa bene il suo lavoro, lei fa la mente e applica se stessa, il suo fare fermo immagine sulla realtà ogni volta che noi pronunciamo un pensiero, scegliamo dove porre l’attenzione, l’osservatore. Talmente stretto il passaggio tra pensiero e mente che non lo vedevamo.
Questo fanno gli archetipi, ci conducono in una specie di terra di mezzo, di campo neutro, anestetizzato, per cui possiamo vedere con distacco ciò con cui prima ci identificavamo e perciò non riuscivamo a lasciar andare. Soprattutto gli schemi a monte, quelli che hanno implementato la nostra psiche, ne parlo raccontando gli archetipi in questo libro. Altri schemi che erano uno, che avevano creato collusioni, aderenze d’acciaio nel corpo e in psiche, erano le impronte familiari. Le sappiamo queste dinamiche, ma, scardinarle davvero e sentirci Uno, liberi, noi stessi, indipendentemente da qualsiasi retaggio ed identità pareva un miraggio.
È accaduto. Anche gli ultimi baluardi di un’identità comune con chi ci ha generato, con chi ha fatto parte degli anni importanti della nostra infanzia, era sciolto. Anche perché… cos’è l’infanzia? E la storia? Nel momento in cui, grazie ai 22 movimenti noi abbiamo lasciato ogni forma, morfologia, campo, relazione con qualsiasi esistenza attorno a noi, e l’abbiamo potuto fare perché da dentro saliva ben altro modo di sentire e concepire noi stessi. Sì, concepire. Mi stavo concependo, stavolta davvero.
Per accorgermi che non sono nata da genitori di carne, né nutrita da un pianeta rotondo, né scaldata da un sole esterno, tanto meno appartengo ad un nome, ad un’etnia ad una comunità sociale. Tutto ciò che ero stata quanto a immagine, senso percezione forma di me, non c’era. Eppure esistevo. Togliendo questi riferimenti esterni si scollavano impianti interni, prima mai visti. E io, esistevo, senza nome, senza la certezza che il corpo che vedevo di me, all’esterno fosse davvero la mia forma, men che meno lo erano quindi le entità esterne, quelle astronomiche, esistenziali, sociali. Le relazioni. Le norme, le leggi, gli ordinamenti. Il servaggio del denaro, del tempo, di sentimenti ed emozioni che per anni non erano stati dalla mia parte, quella del mio benessere. Non c’era il ricatto del “dover essere”, “dover fare”, “dover rendere conto”.
Ero sollevata, così, facilmente, dal rivivere sentimenti che mi imprigionavano, memorie, ricordi. Tutto dissolto, e io più caparbia che mai.
Forse restava semplicemente, me stessa. Forse.
Dentro ero un continuo movimento, questo sì.
Questi movimenti andavano in tante direzioni e mi davano percezioni nuove di dove stavo, cosa vivevo. Dove prima c’era stata una sofferenza ora avvertivo una forza, l’altra parte. La percepivo, quasi la contemplavo e la lasciavo là, non avevo la necessità di mettere in scena queste parti nuove. Anzi, ero indotta a trattenere la mia forza. Sapevo di esserlo, nuova, e questo mi era sufficiente, mi stavo riempiendo di me. Il resto, il manifestarmi all’esterno in modalità nuove, poteva aspettare. Ogni cosa ha la sua misura, una volta nutrito e saziato, un seme, si manifesta da solo.
Iniziavano ad arrivare input diversi, pensieri veloci, inusitati, mi abitavano il mattino ancora nel dormiveglia. Di fare cose che avevo negato. Di contattare persone prima accantonate. Stavo andando dalla parte inversa di ciò che ero stata, di quelli che parevano essere stati i miei orientamenti, i miei gusti, le mie predilezioni. Senza sforzo, era sufficiente seguire il pensiero e la rotta quando arrivavano. In quel momento tutto diventava facile.
Matrix aveva preso tutto, la sua trappola aveva imprigionato tutto, ogni mio possibile movimento, intaccato ogni mio tentativo di libertà. Ma io ne ero fuori.
- Posso inventare vita diversa, che sa stare fuori matrix.
- Posso fare a meno delle illusioni e dei ricatti di matrix.
C’è vita qui fuori.
Così quando mi arrivava l’idea di un progetto, un intento, lo osservavo, lo confrontavo, se era qualcosa che già avevo fatto o tentato nei criteri di matrix lo lasciavo andare. Lasciavo andare, non coglievo illusioni. Riuscivo a stare senza, e viva. Così pian piano percepivo “i confini” di matrix. Ah, non era onnipresente, c’è libertà negli interstizi, o dall’altra parte dei modi di essere della piovra.
Ci sono spazi aperti e possibili.
- Come faccio a spostarmi qui?
Invento vita fuori dai criteri di matrix.
Vedevo la funzione degli archetipi:
- mettere in evidenza matrix
- renderci vivi e autonomi nonostante matrix
- vedere i confini di matrix
- se ne vedo i confini l’ho delimitata, definita, la vedo da fuori
- vedere sperimentare spazi tempi possibilità progetti oltre matrix vecchia, in nuove trame allineate al terrestre che sono
- applicare archetipi, i 22 movimenti della forza per dare identità e consistenza, rendere concreti, i miei progetti fuori dai criteri matrix.
- me ne rendo conto, lo confermo e questo incrementa e rafforza la mia consapevolezza di oggi.
Questo è accaduto.
Intanto i 22 movimenti si manifestavano e la mia vita, in essi, si trasmutava, trasformava. Il mio riscatto sul mondo delle relazioni, dei sentimenti, delle emozioni, del mio pensiero, era davanti a me.

[1] Paolo De Benedetti, L’alfabeto ebraico, Morcelliana, 2011.