Energia e massa infiniti
La donna e l’uomo che noi siamo – Stare all’interno di sé
Sono stata. Dentro me. Quindi avrei contraddetto quanto dico nell’archetipo Hé che è scorrere, fluire.
Mi sono fermata col fuori. Non ho guardato, non mi sono spostata, né sono intervenuta. Di più, non ho pensato più al fuori, a ciò che avrei potuto vedere fuori.
Non mi interessava il fuori così come era fatto, ho voluto trattenere la mia energia e usarla per penetrare ancor più dentro di me, stare, osservare, osservare ancora, ancora,
- encore encore – dice Vittoria
e ascoltare.
Mi dicevo:
- Un giorno mi muoverò.
- E creerò un fuori di me.
Sempre dentro.
Avevo messo su l’intento che quello che volevo lo creavo tutto, totalmente, qualitativamente e precisamente – dentro.
Da fuori mi sarebbe arrivato – da solo – davanti.
Dalet – D – 4° archè era fuori – Concretizzare.
Per cui ha lavorato di suo.
In quei giorni, ogni parte di me, tutte le parti che stavano sulla scena, mi parlavano. C’era un po’ di confusione qua dentro, e di stress.
Siccome lo sapevo, le ho lasciate fare. A volte pareva una corrida, a volte una telenovela. La mia mente non dava tregua, sempre a dire a dire, spiegare, interpretare. Un giorno a scuola una ragazzina stava spiegando la trama del film che avrebbero realizzato come classe. Ha parlato per un’ora intera, velocemente, e faceva zittire tutti i compagni. Che stess. Poi mi sono detta:
- Ecco, io.
Rendermi conto di quanto me la stavo raccontando mi spellava il senso di realtà.
Ossia, quando stavo davanti alle persone, vedevo attorno a quale eggregora si stavano accoccolando, che film si stavano auto-proiettando, o attorno a quali modi di essere e di fare giravano.
Solo che loro li prendono sul serio, pensano che sia vita. Abbiamo copioni su tutto.
Probabile che anche questo che sto dicendo del dentro e fuori, sia un copione. Anzi, sì, sicuramente. C’è ancora altro.
Mi dicevo che:
– Se ancora non sono pienamente felice, c’è dell’altro da smontare.
Solo questo c’è. Quando l’ho visto il mio schemino, è tolto, non esiste più e io sono nel flusso.
Così mi dicevo:
- Sto su Pianeta Felice, sono allineata al Terrestre, per cui, questa la mia vibrazione, e ho tutto ciò che mi serve per stare bene.
Arrivavano insight che mi sollevavano, mi davano stabilità, serenità. Allora davvero pianeta Felice comunicava la sua vibrazione serena e io mi stavo allineando.
Nel frattempo se ne andavano impressioni, dubbi, dualità, pensieri spinosi. Stavo bene.
L’unica attenzione era agli archetipi. Li stavo anche riascoltando e riscrivendo. Ne sentivo i movimenti, io mi sentivo piena di movimenti, e così vedevo il mondo, gli eventi. Anche le situazioni che potevano sembrare statiche, scontate, inamovibili, quasi istituzionali, ossia serie, stabilizzate, io le sentivo cambiate. Certo le cambiavo come pareva a me.
Stavo immaginando la mia realtà, giusto?
Non davo istanza a situazioni fuori di me, che tra l altro non mi piacevano. Stavo sul mio racconto e palcoscenico. Certo, non ne parlavo fuori, né facevo qualcosa.
Fuori era tutto fermo.
Dentro, ogni giorno di più, il teatrino si metteva in mostra. Vedevo il racconto che mi ero fatta da chissà quanti eoni, per piangermi addosso.
Eh, no.
Fuori le palle.
Tutto perché avevo detto:
- Culicacchi che lascio andare.
Ovvero su una situazione che ancora, pareva, non avesse via d’uscita avevo deliberatamente deciso di ascoltare solo me stessa. La mia spinta. Così fuori non ne parlavo. Né guardavo. Pulizia sul mio stesso pensare proiettato all’esterno. Esauriti tutti i cicalecci miei che portavo fuori e facevo dire agli altri. Che sarebbe restato?
Un movimento
Una sensazione
Un flusso
Un’emozione.
Bene. Sono viva.
- Io sono l’anima gemella di…
- Io sono l’anima perfetta di…
- Io sono l’archetipo felice di…
A quel punto ho riempito la casa di cartelli. Decine e decine di fogli A4 in cui ho scritto frasi lapidarie su – come sta – la – mia – realtà – ossia – come – la voglio.
In quei giorni a casa mia non avrebbe potuto entrare nessuno. Tutta la mia psiche, il mio sogno stava fuori alla luce del sole e all’aria. Come mi giravo giravo i miei occhi incappavano su frasi tutte in positivo, vitali, appaganti, arrapanti su cosa e come volevo. Tutto in pennarello grosso, per cui camminavo per casa e volente o nolente, automaticamente mi ritrovavo a leggere ciò che avevo scritto e che mi veniva davanti. Camera cucina bagno, finestre mobili lampade scaffali pensili quadri poltrone tende porte frigorifero computer televisione sempre spenta con un foglio sopra… I cartelli stavano attaccati dappertutto. Mi ero studiata la posizione delle porte, tanto ero sola e potevo tenerle tutte aperte. Per cui da qualsiasi parte mi mettessi, mi sedessi, mi muovessi, una sfilza di cartelli e di frasi si metteva davanti ai miei occhi e io leggevo leggevo. Per come li avevo posizionati le scritte si rincorrevano rifrangevano rimbalzavano, erano percorsi virtuali tra i fogli e le frasi, e la mia testa. Poi ho cominciato a camminare, poi danzare, per le stanze e leggevo leggevo.
E mi dicevo…
- Parole parole sì, ma soprattutto arché.
Ho chiuso gli occhi e da dentro leggevo le frasi, le inviavo direttamente all’inconscio.
Sapevo cosa facevo:
volevo conformare la mia mente a quello che dal mio inconscio era uscito e stava scritto là, in bella mostra. L’automatismo dell’ossessività delle frasi faceva sì che le parole e il loro contenuto andassero direttamente nel profondo. Contattasse il sogno che nel profondo stava, che mente e inconscio fossero Uno nel intento.
Mente e inconscio Uno in come io mi vedo, mi percepisco, mi sento, e il come stava scritto su tutte le pareti di casa.
Anche la casa sono io, così come ogni foglio, ogni frase, ogni parola messa là, en plein air.
Ehehe.
Come facevo ad essere sicura che avrebbe funzionato? Mi ero ricordata che un’altra volta avevo fatto così mettendo fuori le mie paure, e proprio quelle paure mi ero trovata davanti poi. Per cui, se aveva funzionato quando avevo scelto dalla parte piccola e penosa di me sicuro che avrebbe funzionato anche per la parte in cui io mi sento grande, creatore della mia realtà, del mio sogno. Dalla stima di me stessa che avevo conquistato.
Stavo sperimentando, esplorando, i miei territori interiori.
Stavo costruendo dal nuovo.
Costruivo solo tenendo conto di ciò che saliva da dentro di me, e avevo eliminato tutte le impressioni, la domande, le risposte, le interpretazioni che in precedenza avrei dato. Tutto quel modo di pensare fatto di schemi, modi di interpretare, dare risposte, che mi avrebbero portato a… altrettanto consueti e convenzionali modi di reagire, rispondere, o spiegarmi le cose.
Esclusi tutti.
La certezza non ce l’avevo. Sapevo come sarebbe stato il fallimento di me e delle cose se avessi applicato i soliti schemi. Non sapevo come sarebbe andata agendo su strade nuove, inesplorate, prima non tentate, non aperte.
Ora intraprese.
Un buttarsi. Mi sentivo il matto della carta dei tarocchi. Lanciata nel vuoto. Ma il vuoto è un pieno. Questo, non solo lo sapevo, soprattutto lo sentivo bene.
Infatti la tranquillità, l’appagamento, la lungimiranza, aumentavano.
Boh.
Continuavo caparbiamente a leggere e mandare in fondo a me i cartelli e il loro contenuto. La ripetitività della cosa era diventata automatismo.
Bene.
Dopo un po’, un giorno mentre guidavo, mi sono ritrovata a immaginare soluzioni divertenti, una grande ironia dilagava in una serie di situazioni che stavo immaginando. Sorpresa io stessa delle soluzioni che stavo trovando, della fantasia, della larghezza di vedute che mi stavo dando.
Insieme a tanta ironia.
- Bene – mi sono detta – quando un problema finisce a ridere, ho trovato la soluzione.
E ho lasciato che il mio Strumento di creazione portasse la soluzione ad essere fatto concreto.
Ringrazio le mie piccole strategie, soprattutto ringrazio queste grandi forze che sono i 22 movimenti della Forza, gli archetipi, sanno risolvere i nostri pensieri, e le situazioni che con i pensieri creiamo, portandole a risoluzioni illimitate e molto soddisfacenti!!!
Quelle che escono dall’ironia sono le migliori creazioni. Per tutta una serie di motivi.
Provate a pensarli… .