Anima gemella
Cellula Nuova
Con “Cellula nuova” inizia una serie di pezzi che sono in Serendipity. Il capitolo Camelot, esprime il nostro pensiero sull’Uomo che si manifesta nella Coscienza di sé, incontrata in se stesso, condivisa, sperimentata e goduta in questa dimensione che è il Terrestre. Viaggiamo, in dimensioni che ci evolvono mentre, pienamente carne, cuore, terra, intendiamo essere.
Noi umani siamo… siamo, mille sfaccettature, così come mille e mille sono le stelle.
Chi l’ha detto che abbiamo solo un corpo, un cervello, un’anima, un nome?
Vecchi tempi quelli in cui ci credevamo così, uniformati, standardizzati, conformati. Ecco perché non guarivamo e non sapevamo aiutare a guarire, perché insistevamo a codificare, leggere, interpretare, accostare, attraverso la nostra ridottissima idea di ciò che pensavamo fosse l’umano, tutti i sintomi, i messaggi dei nostri mille e mille corpi.
Poi, la botta in testa. E abbiamo capito. Ovvero, ci siamo voltati dentro, verso noi stessi.
Un caleidoscopio, o un poligono, un diamante dalle innumerevoli facce, un cristallo, oppure uno schema olistico[1] o frattale[2]. Il disegno di una spirale, una costellazione, un armonioso ammasso stellare; la stesura di una sinfonia, un bambino, ecco queste sono le metafore che un po’ possono avvicinarsi a ciò che può essere un’immagine dell’uomo. E ancora, pur con queste multiformi tracce, ancora mi devo mantenere aperta, nei possibili, permettermi integrazioni, aggiunte, continue e conseguenti, nuove ipotesi, sprazzi di altre dimensioni, nuovi movimenti, altre dinamiche.
Questo, e molto di più è l’essere umano.
Ancora non mi sono per niente accostata al cuore perché, quando parlerò del cuore non so proprio dove andrò a trovare le coordinate, i riferimenti, le sintassi, la sistemica per affermare che, in qualche modo, per qualche aspetto, il suo cuore può, tanto o poco, assomigliare al mio. Siamo così diversi! e unici! e siamo in due, figurarsi se ci rapportiamo al resto del mondo!
Così, alla fine, di chi parlo? Di me, di lui, di te, della donna o dell’uomo in generale?
Come si fa a parlare dell’uomo in generale? Non esiste, c’è il concetto di uomo ma è una vibrazione, uno sbruffetto di energia, una fuggevole idea, niente di concreto, di toccabile, niente di cui io mi voglia occupare perché quell’uomo del concetto non esiste, non lo tocco e non mi tocca, non m’interessa.
Proverò a parlare di colui che ho incontrato guardando dentro me, da quando, non so perché, ho cominciato a guardarmi dentro.
Mi si era fissato qui, al centro della fronte, dove gli antichi dicono che ci sia il terzo occhio, qui si era formato una specie di filtro polarizzatore, di trama ed io vedevo la realtà attraverso quel filtro. Cos’è questo filtro?
È un’affermazione.
Io che non voglio considerare i concetti, adesso dico parole? Questo non è solo un concetto, non lo è stato per me, è stato, è, un sentire, è diventato un qualcosa di reale che agisce, funziona, è sempre attivo qui al confine tra il dentro e il fuori di me.
È un esserci !
Dice questa affermazione:
“Ciò che è dentro è come ciò che è fuori. Ciò che è sopra è come ciò che è sotto”.
Viene, dalla Tavola di Smeraldo.
È un sigillo, una chiave per aprire la realtà, quello che, ancora gli antichi, chiamano Amentet, una parola che funziona come una chiave o un enzima, un archetipo, la infilo in una parte della realtà, la faccio girare e lei mi aggancia l’altra parte della realtà, corrispondente, che si trova però a un altro livello, in un’altra dimensione.
Poi fa altro, anche se per un po’ non me ne rendo conto. Mi porta dallo stato di coscienza in cui vedo le cose toccabili, o credo che siano tali fuori di me, allo stato di coscienza in cui vedo le cose, corrispondenti, reali e vere, queste sì vere, dentro me.
Mi hanno insegnato che quello che viene da dentro di me è insidioso, è dubbio, può trarmi in inganno. No, è quello che viene da fuori di me che è illusorio, fasullo, è iniquo e vuoto!
Certo, la verità non la trovo in quello che penso essere la realtà e invece altro non è che la proiezione della mia mente, la realtà non è certo data da quello che, la miriade di pensieri che si susseguono e rincorrono nella mia testa producono attorno a me. Questo è il mondo dell’illusione che il mio cervello, il mio io proietta fuori, è un mondo fatto di concetti presi per verità, creato da quella parte di me in cui mi vivo nella divisione dal resto del mondo, nella separazione dal fluire della Vita, perciò creo cose, eventi, che non corrispondono effettivamente e adeguatamente a ciò che sono. Questo approccio al mondo è necessario per usare le cose nella vita di tutti i giorni, ma non mi dà il mondo; qui uso il pensiero concettuale, ma esso è dicotomico perché per esistere ed affermare una cosa deve escludere tutto il resto. È una forma di pensiero utile, ma non adeguato alla comprensione né di me né della realtà.
Il mondo è un tutt’Uno, è ologrammatico, frattale, multicentrico e molto molto di più, va accostato attraverso altri atteggiamenti interiori e conosciuto con altre forme di pensiero.
Così ho iniziato ad affidarmi a quell’affermazione della Tavola di Smeraldo, la realtà pian piano ha cominciato ad ampliarsi, ad approfondirsi, a mostrare una miriade di connessioni, di significati, di consistenze che mi erano nascoste con l’approccio razionale.
Quindi, io pensavo al mio corpo, ai miei malanni e, da questa nuova postazione di osservazione in me, il terzo occhio, si aprivano ipotesi nuove, campi dentro me su come considerare le cose. È passato parecchio tempo e ora mi ritrovo una serie di appunti e materiali fissati così, man mano che la mia stessa personalità svelava aspetti di sé, dinamiche, dimensioni.
La prima metafora per cogliere qualcosa di me stessa è stata l’immagine del sole. Qui ho incontrato la consapevolezza che ciascuno di noi è luce.
Come spiegarlo? Metto in scena dei personaggi, creo una situazione fantastica, così qualcosa riesco a dire. Sta qui, in questo brano che ho pubblicato poco tempo fa:
Ora, da questa consapevolezza, cos’è la luce?
Luce è esserci, sperimentare, essere in situazione, mettere le mani in pasta. Stare nel corpo, nel sentire, nelle emozioni, tutte, sapendo che si è uomo-donna-Dio nell’unità di questo qui e ora vissuto così. Luce è essere presenza attirare la forza vitale in ciò che si sta sperimentando. Ecco che la carne, il corpo, la terra, si fa luce. Se ancora abbiamo la necessità di affermare i due aspetti dell’esistenza è riconoscere sacro ogni momento.
Solo noi stessi possiamo divinizzare il nostro istante, stando nell’istante così come è.
Dopo la Luce ho incontrato i pensieri, le categorie di pensieri che funzionano nella nostra mente e che ci permettono di costruire, interpretare, programmare noi stessi e il mondo. Queste dinamiche della nostra parte intellettiva le abbiamo proiettate fuori di noi e uno dei modi con cui li abbiamo denominati è stato: angeli, li abbiamo individuati in categorie diverse, con funzioni e valore diverso, come sono, d’altronde.
Solo che, chiamandoli angeli li abbiamo poi considerati identità fuori di noi, distinte da noi, autonome. Perdendo noi nel tempo, chissà perché, la consapevolezza di queste nostre parti, abbiamo cominciato a pensare che esse sono più forti e più intelligenti; buone e potenti più di noi. Così per gli dei e le dee. Tutte le nostre potenzialità, le nostre dimensioni dell’età dell’oro, dove siamo Re e Sovrani. Proiettate fuori di noi e poi dimenticate nell’altro da me, da te, da noi stessi. Tutto ciò che stiamo ricordando, che sentiamo forte e vero.
Quanto grandi Siamo!!
Queste parti sono più potenti, per certi aspetti, rispetto alla nostra parte fisica, ma senza il nostro corpo non esisterebbero. Siamo noi, sono le nostre parti potenziali e potenti che agiscono come intelligenze altre, diverse da quella razionale cui abbiamo dato troppo spazio, ma sempre intelligenze nostre sono! Invece le abbiamo considerate staccate da noi e abbiamo attribuito loro quel potere che è nostro e abbiamo cominciato a temerli, gli angeli, ad adorarli, pregarli, a metterci in un rapporto di dipendenza da loro. Così come per gli idoli, gli dei e Dio…
Abbiamo creato le religioni, in esse abbiamo cominciato a dare potere ad autorità, a realtà e identità fuori di noi, senza renderci conto che eravamo e siamo noi. Che sdoppiamento! che separazione, che iniquità.
Dio… chiaro che non ci parla! che non ci risolve i problemi! abbiamo preso una parte di noi l’abbiamo immortalata là, proiettando su di essa un potere che è nostro, un feticcio, un idolo, come può funzionare?
Condizione fondamentale è pronunciare se stessi oltre l’Io. Ecco che cherubino è “creo”; serafino è “brillo”, “sono consapevole”. La non presenza del soggetto, dell’Io, fa cogliere noi stessi non più all’origine di un processo creativo, ma in un posto non definito, non fisso e preciso del processo stesso. Ritroviamo il nostro essere aperti, possibili, l’Io non condiziona il nostro darci al mondo e, il nostro essere canale, permette l’intersecarsi e integrarsi di infinite possibilità e risorse.
Se noi pronunciamo il nostro essere e agire pronunciandoci:
- – Io
- e allo stesso tempo superando, meglio trascendendo, il dire “Io”, cogliamo le funzioni della realtà, ossia le chiavi, le modalità, le dinamiche attraverso cui il pensiero diventa realtà concreta.
Queste chiavi, finché non ci è chiara la loro presenza e funzione, sono percepite come potenzialità superiori a noi stessi…
I nostri pensieri sono gli angeli – gli angeli sono i nostri pensieri – tutto ricondurre dentro noi stessi.
… continua…
[1] Il pensiero olistico esprime l’unità dell’universo e dell’esperienza umana. Esso si propone all’uomo come via per prendere consapevolezza della propria esistenza, del sé e del mondo in una visione unificata e comprensiva.
[2] Il pensiero frattale è la possibilità di elaborare una visione complessa di realtà in cui, all’interno di un modello di pensiero è possibile collocare una serie di modelli simili al modello di base in modi sempre differenti ma analoghi, su scala progressivamente più piccola o più vasta.