Archetipi – Il cammino interiore
Pare che io mi ripeta. Diciamo che i discorsi importanti da fare sono pochi e, come vedete, anche il dire o lo scrivere in sé, non serve granché.
Il cammino interiore è la strada per trovare se stessi nella propria identità autentica e libera. Per secoli e millenni ci siamo conosciuti, riconosciuti e costruiti a partire da schemi di pensiero immessi dentro di noi da altri. Visioni del mondo, filosofie, religioni, tradizioni; siamo stati indotti in impostazioni sul mondo, Dove ci troviamo? Non mi pare che l’umanità abbia risolto le questioni fondamentali, anzi pare che la confusione, la conflittualità, anche tutte le paure e i tentativi di salvataggi siano aumentati. E il caos prevale.
Questa, espressa appena sopra, è un’impressione, quella che pare reale, invece è parziale, pessimista. Possiamo guardare al bicchiere quasi pieno, puntare l’osservatore verso la possibilità, l’espansione, il pensare nuovo e propositivo. Possiamo usare il pensiero per darci immagini ampie, amorevoli, forti, espansive, costruttive.
Il pensiero crea la realtà.
Come pensiamo?
Pensiamo a partire dalle emozioni tormentose che si affollano dentro di noi o pensiamo a partire dalle spinte di fiducia, potenzialità, coraggio che, ugualmente, ci abitano?
Cosa scegliamo di essere?
Cammino interiore…
Come vedete non parto né da una filosofia né da una religione. Parto da dentro di me. Ciascuno può partire da dentro di sé, nel momento che ha il coraggio di permettersi la distanza, momentanea o definitiva, da qualsiasi istanza esterna.
Il distacco da ogni risoluzione che viene dall’esterno, fosse anche una religione o un credo politico, anche da qualcuno o da una situazione, permette di dare spazio all’istanza fondamentale che è la persona. Il singolo. L’Uomo.
Premetto che addirittura il termine persona non agevola l’autentico contatto con se stessi.
Persona in greco ha a che fare con maschera, per cui, quando noi utilizziamo questo termine, e lo usiamo per essere al di sopra di termini meno esaustivi quali: individuo (che ci sembra più arido), uomo o donna (che paiono troppo generici), essere umano (poco preciso quanto a ciò che l’essere umano nella storia è diventat)o. Insomma, ci siamo orientati ad usare persona per indicare un essere umano, un terrestre consapevole di se stesso e della sua storia.
Beh, sappiate che, ogni volta che utilizziamo la definizione persona noi, inconsapevolmente affibbiamo a suddetto essere umano una accezione di… mascheramento, finzione, nascondimento, quando non di ambiguità, finzione.
Vogliamo dire “essere umano” e lo indichiamo col termine “maschera”. Le parole funzionano eh, nel loro contenuto, anche quando noi non ne siamo molto consapevoli.
Per cui, per secoli e millenni, ci siamo dati e abbiamo attribuito all’altro una ambiguità, quando non un mascheramento e una finzione, e lo abbiamo fatto anche quando volevamo essere aperti, riconoscenti, onesti e pensavamo quel preciso essere umano onesto, sincero, coerente,.
Come dire che, senza volerlo, abbiamo alimentato dell’uomo la sua parte nascosta, oscurata, mascherata. Forse è il caso di rendersene conto e di trasformare questa accezione viziata che abbiamo sia di noi stessi che degli altri. Se non trasformiamo non proseguiamo verso una maggior coerenza e sincerità.
Non ci siamo dati grandi prospettive con persona, né grande credibilità. In effetti, come umanità, a che livello è la nostra autostima? me lo chiedo.
Per cui, questo cammino interiore di cui vorrei parlare, parte da lontano. Va a radicarsi nel termine stesso che per secoli abbiamo usato per dire di noi. Pensare che persona è stato usato dai Padri per indicare le tre “Persone” della Trinità, ossia per tentare di spiegarci Dio.
Va bene, quelli erano i tempi e i contesti. Ho una grandissima stima dei Padri e della patristica, ma forse bisogna riformulare tante cose, compresa questa.
Se usciamo dai dogmatismi e ascoltiamo lo spirito che è sempre un “adesso” – “qui e ora” – che ha sempre continuato a comunicare con l’uomo, che non si è fermato duemila anni fa.
Un’altra accezione del termine viene dal latino personare dove si intende “la capacità di farsi sentire da lontano, ed era piuttosto da attribuire alla forma del teatro che non alla maschera indossata dall’attore”. In questa versione persona ha più il senso di suonare – suonare per… dove appunto la capacità di farsi sentire da lontano è correlativa alla frequenza, all’intensità di frequenza, che un uomo (stiamo parlando del teatro greco del passato) metteva in essere.
Ciò spiegherebbe perché il termine persona indicasse in origine la maschera utilizzata dagli attori teatrali, che serviva a dare all’attore le sembianze del personaggio che interpretava, ma anche a permettere alla sua voce di andare sufficientemente lontano per essere udita dagli spettatori. Tuttavia, dal punto di vista fonetico, è necessario ricordare che il verbo latino personare ha vocale radicale breve (ŏ), mentre il sostantivo persona presenta una vocale lunga (ō). È inoltre chiaro che la capacità di farsi sentire da lontano era piuttosto da attribuire alla forma del teatro che non alla maschera indossata dall’attore. Tale etimologia, infine, si scontra con l’assenza in latino di altri sostantivi in -ōna di tipo deverbale, mentre sembra più vicina a termini di origine etrusca in -ōna, da rintracciare in particolare nell’onomastica. Ciononostante, è probabile che i due termini siano stati accostati in ambito latino pare etimologicamente
Ma stamattina, rileggendo, ben altre informazioni, o meglio altre possibili variabili del termine persona, sono arrivate.
E’ probabile che il personare intendesse la vibrazione, certo, ma non solo la potenzialità del farsi sentire con la voce alta. Ma mi vien da pensare che personare può essere non solo la vibrazione per poter declamare o cantare ma saper comunicare altro, oltre, ovvero la comunicazione telepatica. Può essere, che ne sappiamo. Siamo talmente irretiti dal nostro mondo limitato ai 5 sensi che non ci permettiamo di poter pensarci ed essere di più.
Magari per gli antiche era reale e semplice, fattibilissimo, comunicare via pensiero.
- Và, pensiero...
- Và, pensiero… Vai, sentimento.
- – Vai, onda telepatica di amorevolezza.
Per il fatto stesso che so che sto comunicando telepaticamente, il messaggio stesso contiene una valenza in più: il fatto che io e te stiamo, sappiamo, comunicare per vie sottili. Tanto, se non di più, certe ed efficaci della via esterna.
Ecco, ho ampliato un po’ l’accezione del termine dando una valenza di positività e di forza in più.
Ora andiamo a maschera.
Che valenza in più puo’ aver avuto in passato il termine… maschera, perché mi sta nascendo il dubbio che gli antichi avessero ben altro modo di intendere la persona, se questo termine hanno usato.
Mi sa che gli antichi avevano una mappa mentale più vasta della nostra. Più espansiva, meno riduttiva.
Maschera maschera, quel’è la tua accezione oltre la finzione? o oltre il mascheramento per non far vedere? o per far vedere altro?
Forse ci sono informazioni che io non so e che non voglio sapere, che temo, quindi parti dell’altro che non so ma che non so perché io mi sono scostata, allontanata da queste sue declinazioni.
E’, la mia maschera, ho costruito fantasmi che non sono .