Archetipi – Le costellazioni dei popoli
E’ da un po’ che non scrivo. Però sto osservando molto. Ascoltando. Ho anche sospeso il mio pensiero, mi andrebbe di pensare ma non ho nulla di curioso cui pensare.
A me ora, ciò che mi intriga davvero è solo il pensiero che mi permette di costruire nuovo, che mi traghetta oltre matrix. Il resto, il già pensato e accaduto, per quanto elegante, di stile, consistente, anche sostanziale, da un punto di vista filosofico, o … scientifico, o estetico, non mi dice granché. Mi annoia ciò che già è stato creato. La mia curiosità è volta al nuovo, sia come contenuti che sul “come fare a creare nuovo“, strategie.
Siccome sono pensieri che io mi faccio, sicuro che per me, accadono.
Intanto osservo, ascolto. Una cosa mi è sempre più chiara, forse perché nei giochi sul campo, io gioco fuori campo. Ossia gioco non agendo ma restando presente con l’attenzione e il pensiero.
Sì, oggi va così.
Sto un po’ seguendo la politica, l’economia, soprattutto – data la politica, l’economia e, peggio ancora la finanza imperanti – cerco chi canta fuori dal coro, chi cerca di interpretare questa situazione mondiale caotica e distruttiva, chi propone strade per uscire dal buco nero in cui i terrestri pare si stiano buttando, come un cassandra crossing.
Cerco di centrare il discorso, di essere breve, almeno centrata.
Ascolto tante persone che parlano della situazione mondiale, europea, i politici, la finanza. Raccontano di prevaricazioni, governi ombra, politiche ed élite che dominano gli stati e le nazioni. Guerre di accaparramento e di conquista, e tanto altro.
Sta accadendo quello che è sempre accaduto e, finché ne facciamo parte, finché continuiamo a raccontarlo, con l’intento buono e onesto di spiegare le cose certo, ma standone all’interno, non vedremo le dinamiche. Continueremo a vedere gente che fa gesti, atti, promesse, tradimenti, finzioni, buona volontà, impegno eccetera, ma non vedremo che – al di sotto dell’apparente agire – c’è sempre la stessa trama che si muove, fluttua, ci prende, travolge; ci abbandona, coinvolge, scarica, incanta, droga, intossica, costringe coercitivamente a recitare sulla scena sempre gli stessi vecchi copioni, vecchi e stantii, stretti, reietti, riduttivi, poveri, avari, algidi, mossi dalle paure, da memorie cattive e dolorose sempre attive, da fatti lontani nella storia (che storia lineare non si dà) che sono virus di memoria corrotta malata e irretita che ci portiamo dietro da generazioni a generazioni. Che continuiamo inconsapevolmente a ripetere per il solo fatto che: non le portiamo sulla scena con la consapevolezza che sempre di parti recitate si tratta. Di un raccontarcela. Solo che ce la raccontiamo sempre come separazione conflitto e tragedia.
Potremmo benissimo raccontarcela dalla pacchia, dal benessere dalla ricchezza.
Vale per tutti, sia per chi le nefandezze le compie, sia per chi cerca di uscire e di riscattare questa umanità. Se guardiamo sotto l’apparente rinnovarsi delle situazioni, dei contesti, del fatto che le persone tra l’oggi e il secolo scorso e secoli o millenni fa pare siano diverse, vediamo chiaramente che, semplicemente, tutto ritorna. Si ripete inopinatamente. Come se l umanità non avesse imparato niente dalle sue cadute.
Sì, i burattini sono vestiti e chiamati diversamente, ma si attengono sempre agli stessi copioni.
Forse anche io che sto scrivendo questo pezzo sto recitando ciò che già io stessa, in un altra forma di me o, qualcuno da cui provengo, ha recitato. Non so, non mi spiego la storia in modo lineare, e il modo circolare non so bene come sia.
Nell’analogico, nel mondo dell’inconscio, non c’è la necessità di sistematizzare tempi spazi contesti linguaggi. Qui si vive di insight. Di luci chiare e brillanti che si aprono improvvisamente sul mondo, che aprono risposte dandole, non attraverso parole e nei criteri della verbalizzazione sistemica (che alla fine è artificiale, non è la realtà) del mondo di matrix, ma che vengono intuite e come decantate … che ne so.. forse su frequenze, su altri sentire. Forse sono colori musiche sensazioni che portano le informazioni che sono altrettanto e anche più sostanziali, equilibrate ed esaurienti che le sole risposte che possono arrivare da quanto è intellettualizzato.
Abbiamo già vissuto da conquistatori o da oppressi. Da prevaricatori o vittime. Da capi o gregari. Sto dicendo che quello che vale per il singolo individuo vale per il collettivo, il popolo e la storia cui apparteniamo.
Oggi, dopo questo percorso storico dell umanità abbiamo cristallizzato nel Sé, nell inconscio collettivo eventi con le loro corrispondenti cariche emozionali psichiche e mentali. Abbiamo egregore di pensiero che condividiamo come collettivo. Oltre al nostro personale progetto partecipiamo a destini e mete che sono di gruppo, di un popolo.
Nel bene e nel male.
Almeno fino a che non facciamo emergere – finalmente con consapevolezza – i nodi.
Ci sono blocchi emozionali, agire propositivi ma purtroppo spesso distruttivi che nella propria storia i popoli non hanno posto in essere ponendo presenza ed attenzione critica a ciò che, sotto l apparenza, muove persone e nazioni.
Questi nodi psichici pieni di energia là criptata, spingono, tornano sulla scena, rincorrono la catarsi, necessitano di catarsi per poter frangere la forza delle emozioni vissute nella ricettività dell’oggi, allo scopo di scaricare la carica emozionale traumatica, tragica, che spesso i fatti del passato contengono.
Io guardo i personaggi dei fatti, ascolto il raccontare dei personaggi stessi, dei giornalisti, o degli autori e vedo la narrazione scorrere. Tragica, grottesca, banale, ripetuta ripetuta. Sono secoli e che ripetiamo gli stessi gesti, facciamo ricadere qua le stesse egregore. Portiamo sul campo le stesse energie. Chiunque può essere l’autore e il narratore, basta saper essere persuasivo. Tutto può essere ripetuto, riportato sulla scena, di nuovo tramato e non essere colto nel suo ripetersi.
La narrazione va, scorre perpetua, sempre uguale, perenne, perenne se non ci decidiamo a vederla.
Può uscire di scena.
I personaggi si danno i ruoli dalla parte dei cattivi, degli avidi e prepotenti, i potenti, dalla parte dei dannati della Terra, dei perdenti, dalla parte dei salvatori, dei rivoluzionari, dei buoni, dei prodi e dei probi. Ladri e guerrieri, vittime e carnefici che si cimentano in storie per portare in scena, scatenare e scaricare sempre le stesse cariche di adrenalina. Le stesse storie, gli stessi racconti, drammi gioie guerre vinte perse, ri-vinte riperse, dominazioni e rivoluzioni, finzioni. Menzogne, eroi, santi, poveretti. Sempre le stesse egregore, gli stessi schemi e pensieri. Faide vecchie secoli che tornano cercandosi tra gli umani di oggi, nelle famiglie, nei clan, popoli, collettivi, nazioni gli attori. Politiche e politici, sudditi, poveretti, che sono solo la ripetizione di passaggi già fatti, di eventi, e movimenti già portati in scena. E ci credono, e ce la mettono tutta per rendere vero, storico, reale, il dramma. Guerre da ripetere, invasioni, dominazioni, migrazioni, tutto già fatto che compulsivamente si riporta in scena. Dire dire parlare parlare, ripetere, trasmettere finzioni, perché ciò che sta in piedi e vorrebbe reggere il mondo.. finto.. non è la natura con i suoi flussi, ma le narrazioni di una mente compulsiva che si spaccia per realtà.
E non voler vedere.
Non voler entrare in quell’attimo in cui la pellicola, per un attimo che sfugge al controllo della storia mentale e ripetitiva, quell’attimo di insight, di breccia sul proiettarsi continuo del film, quell’attimo essere qua, all’incrocio dell’osservatore con il sentire, di dolore.
Quello spasimo che rompe il velo.
L’uomo, l’umanità per se stessa, non mentirebbe, non entrerebbe né nei conflitti né nella guerre. Non mentirebbe. Non avrebbe paura ma, non vede queste energie muoversi dentro e attorno a lui, né il singolo né la collettività, e prendono sul serio – scambiano per realtà – questi fantasmi di pensieri atrofizzati che continuano a tornare in scena. p
Partiamo dalla certezza che l’Uomo è sano.
Come per ogni persona a monte c’è un accadimento, o suo o di qualcuno prima di lui, così per i popoli: c’è un fatto, un evento che continua a ripetere se stesso.
Se riuscissimo a vedere ciò che muove l’agire reattivo, ce ne distanzieremo. Non ci riconosceremo in comportamenti compulsivi che investono tutti gli ambiti della vita sulla Terra.
Se continuassimo a penetrare l’osservazione, nemmeno la storia resterebbe in piedi, nemmeno il passaggio delle generazioni. Solo quando lasciamo la storia, a partire dalla nostra, per veder poi crollare tutta la storia, solo qui si può cogliere ciò che l’Uomo è – creatore di se stesso – del suo esistere nel flusso dell’esistenza.
Solo da qui ogni dolore e ogni sopruso si dissolve, perché qui è l’eterno presente.
Il passato è solo mente e così il futoro.
Io Sono.
Solo quando le vediamo le eredità pesanti, possiamo lasciarle. Vista, la costellazione sia familiare che collettiva, vista, vista la trama della narrazione, ecco che essa si dissolve. Non raccontiamo più, un file mentale lungo pesante invivibile. Stiamo sull’adesso. Presenti. Ogni attimo rinnoviamo noi stessi nel pronunciare:
- Io sono.
Presente presente Presente… continuiamo, la Presenza invade ogni spazio dell’essere.
Non si può più nemmeno scriverlo ciò che era – e che non è.
continua…