Il punto categorico, fondamentale, che voglio portare come informazione è che:
tutto ciò che è fuori è dentro
questo è il passaggio che oggi viene sempre più compreso.
Evidentemente in molti abbiamo fatto l’esperienza dell’UNO, quella che Erémile Zolla chiama l’esperienza metafisica. Non solo lui.
E’ l’esperienza che tutto è UNO.
E’ un fatto molto semplice. Siccome non è mentale ma della parte analogica di noi stessi, accade quando vuole accadere. Ci si arriva non quando lo pensiamo noi, ma quando accade.
A quel punto si sa cosa è accaduto e come, così che improvvisamente cogliamo la realtà in un modo tutto diverso.
Questo passaggio fa la differenza perché, da questo momento ogni situazione che accade a noi o attorno a noi, ogni persona che incontriamo o evento, questo che accade o che incontriamo, siamo noi stessi.
O meglio: ciò che vedo fuori è la proiezione, l’emanazione di ciò che io sono.
Per cui, se mi arriva qualcosa di bello, io sono bella e ho il bello dentro.
Se m’arriva qualcosa di brutto, disturbante, tossico, significa che – io – dentro – sono dolore, confusione, quando non conflitto, prepotenza, separazione, prevaricazione.
Non si tratta, quindi, di interagire, rispondere al fuori, ma fermarsi, tornare dentro di me e scrutare, interrogarmi:
– dove sta questa situazione, dentro di me? questo comportamento, modo di fare?
su tutto, su qualsiasi cosa, evento, persona.
Lo strumento di creazione – Vedere gli impianti psichici
Se fuori incontro la distonia, il gancio sta in una distonia che sta dentro di me.
Solo quando applico questo su tutto, comincio a fare seriamente per tentare di fermarmi, in questa assurdità della realtà, e provare a comprendere davvero e trasformare.
Non evitare, non cancellare (il che dopo che ho compreso, farò) ma innanzitutto va osservata la stessa dinamica in me.
Questo è ciò che fa la differenza
A questo punto comprendiamo che tutto, tutto ciò che ci è stato raccontato, è narrazione.
E, ma mano che la consapevolezza di questo si fa strada, ecco che i contorni di questa matrix distorta che non fa il bene, il bello, e il buono dei suoi stessi creatori, ecco che inizia a ridimensionarsi, rimpicciolirsi. Si inizia a percepirne i limiti, i grossi difetti, la sua impotenza che man mano, proprio per l’assurdità dei suoi assiomi e diktat, si fanno sempre più evidenti. E quindi affrontabili e superabili.
Dal di dentro, nei miei gangli, nei miei ganci, che vedo e trasformo.
Innanzitutto capiamo che: se diciamo che qualcuno ce l’ha sta raccontando, che qualcuno, qualche élite, potenza, arconte, alieno, governo, ecc, ci sta manipolando o raccontando storielle, questo qualcuno ancora sono io.
Io sono questa storiella, io mi sto, attraverso l’altro, raccontando la storia.
Io mi sto, attraverso l’altro: usando prepotenza, manipolando, prevaricando, massacrando, e tutto.
Lo strumento di creazione – Vedere gli impianti psichici
Ma mi devo fermare un po’, ascoltare questo che mi sto dicendo. Senza entrare in sensi di colpa o tormentoni verso di me; mantenendomi asettica, distaccata, perché debbo arrivare a vedere cosa c’è sotto.
Qual è la dinamica che sta in me, che si è innestata e, per poterla osservare, non ci debbo mettere sopra il carico di pensieri contorti e di emozioni, umori che mi vengono da un’educazione che m’ha insegnato a guardare dall’altra parte di come e cosa realmente accade.
O un’educazione che colpevolizza me, così che perdo autostima, valore e quindi non ho energia mia per andare davvero dentro me stessa.
In matrix stavamo in una pseudo-realtà altamente dicotomica, nemica, conflittuale, mortifera.
Bene, erano aspetti di noi stessi, pareva avesse la maggior percentuale di realtà perché tutto era amplificato, perché c’eravamo raccontati un cosmo dai numeri esagerati e infiniti, c’eravamo raccontati poteri esterni che pareva prevaricassero, ci creassero problemi su problemi.
Pensiamo solo alle famiglie, alle coppie alle relazioni, quanto erano malate.
Poi abbiamo iniziato a capire che:
– Dentro, nella nostra psiche, inconscio, stavano in nuce, dei gangli di emozione rappresa con i suoi pensieri aggiunti. Stavano in fondo a noi, sempre pronti a tornare sulla scena.
Abbiamo osservato, visto, compreso:
– Se creo un litigio, un conflitto, vuol dire che, in me, c’è, a livello psichico una situazione di conflitto, o che ho uno schema dell’agire attraverso il conflitto.
Significa che, a monte, io ho visto, subito, un conflitto. O l’ha subito qualcuno della mia famiglia e io ho introiettato lo schema (vedi Costellazioni familiari).
Erano questi schemi, impianti, in definitiva gangli energetici, nodi di frequenze annodate in quel modo, che tornavano in scena e io mi proiettavo fuori in situazioni di conflitto.
Il fatto era che, in matrix, la realtà, il mondo, era davvero impostato tutto, quasi tutto sull’energia del pensiero al maschile.
Non sto dicendo che erano i maschi, gli uomini che dominavano la scena (ma anche sì), il che resta vero per il fatto che sta a monte, ossia che è la dinamica del pensiero al maschile che ha impostato questa realtà.
E mancava l’equilibrio tra dinamica del pensiero al maschile e dinamica del pensiero al femminile.
Fisiologicamente, morfologicamente siamo fatti così e le dinamiche discendono dalla forma. Anche viceversa, ma sono correlative, corrispondenti.
Il maschile è una dinamica del pensiero che porta all’esterno, si espande sul mondo, non sa che significa accogliere, contenere.
La dinamica del pensiero al maschile è: riempire lo spazio: organizzare, costruire, ecc
La dinamica del femminile è: fare spazio, contenere, accettare, ascoltare, ricevere, ecc.
Se non lavorano sinergicamente queste due dinamiche, il pensiero che si emette non è equilibrato, da cui la conseguente visione della realtà e agire sulla realtà.
In matrix, anima dava lo spazio, spirito metteva la narrazione, e mente costruiva lo scenario. Poiché il palinsesto era sollecitato da frequenza disarmoniche, di paura, di possesso, litigio, ecco che questo o mettevamo in scena o così ci arrivava davanti attraverso l’altro. Sia individualmente che nel collettivo. Tra popoli e nazioni.
Facevamo accadere l’opzione riduttiva e dicotomica perché, certe parti di noi stessi, che non vedevamo, le facevamo recitare a un altro.
Eravamo già arrivati a comprendere questo, bastava togliere il velo dell’apparente separazione:
– Fuori non c’è un altro. Fuori c’è ciò che io creo.
Chi è là fuori, fuori, sono io. E’ un emanazione di me.
Vale per il singolo e vale per i collettivi, i popoli
Per cui, quando si acquisisce questo occhio semantico, si leggono gli accadimenti esterni con altra analisi.
Si sospende il fatto che si sta sentendo, ci si ferma, e si guarda dentro.
So che è un conflitto? una menzogna? una prevaricazione?
Sta in me.
Anche per i popoli, gli ultimi residui di questa vecchia matrix distopica sono esauriti, e la comunicazione si fa sana.
Le Costellazioni di nazioni hanno fatto il loro lavoro:
– Per i popoli: sono schiavo, prigioniero, sono in guerra? sto conquistando? sono derubato? attaccato? Attacco?
E’ un evento del passato che torna in scena. O le ho date o le ho prese, fatto sta che questa dinamica emetto, proietto nuovamente fuori di me, fino a che non vedo il gancio, non vedo tra i tanti eventi del mio popolo, che ripeto possono essere anche storielle inventate ma io le ho nel mio inconscio.
Devo risalire alla prima volta che questo è accaduto nel mio popolo. Oppure, devo risalire a una dinamica che il popolo viveva: tipo fame, freddo, modi di organizzare il villaggio, di educare, di organizzare la vita, cosa è accaduto. Ecco che si crea il collegamento tra il fatto o l’agire del passato, e l’oggi.
Lo vedo, si presenta da solo alla coscienza perché è energetico.
Io devo solo porre la domanda e il fatto emerge, si rende visibile.
Magari ci mette in po’, qualche giorno, ma la risposta arriva.
Vedo l’agire o il costrutto mentale del passato, o un fatto e vedo la stessa dinamica nel fatto di oggi.
Oggi abbiamo ben compreso che: questa realtà simulata l’avevamo creata noi, viventi ed umani, noi. Essa si era accreditata e amplificata con l’avvento delle scritture, e oggi con l’informatica.
Era sempre la stessa scatola, lo stesso contenitore che aveva assunto nel tempo (quale tempo) solo il tempo di un pensiero, le connotazioni della paura, del possesso e del controllo.
Abbiamo imparato a sospendere il parlare quando dalla nostra bocca potevano uscire parole di pessimismo e di detrazione.
Abbiamo imparato a trasformare le nostre parole, a dire solo ‘verba’ di coerenza, di verità; a modificare la visione portandola sui versanti della vita e della prosperità, e così il pensiero ha iniziato a creare ben altri mondi. Ben altre matrici in cui immergerci e sperimentare noi stessi come esseri di potere individuale, di potenza e bellezza. Capaci di costruire bellezza.
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