Tarocchi e archetipi – Prefazione – bozze – 2
Tarocchi e archetipi – Prefazione – bozze – 2 –
Il mio corpo crea
In queste pagine ho lasciato parlare gli archetipi per come essi stanno agendo nella mia vita. Gli archetipi fondamentali, i simboli delle 22 lettere degli alfabeti, i 22 primi numeri, sono anche i Tarocchi. Il resto sulla storia dei Tarocchi è stato detto, non serve ripeterlo qui.
Quando inizio un libro non so il perché, che funzione ha, da che parte va. Anche il nome arriva dopo. Soprattutto scrivo solo quando una situazione è vissuta, sperimentata. Da quando ho capito che la sequenza dell’essere i creatori della propria realtà è: sentito ascoltato osservato rilevato – pensato parlato scritto – creato, portato all’esterno, agito e goduto, spesso tento di forzare le situazioni per far accadere gli eventi. Funziona. Le situazioni accadono, quelle che ho sentito, pensato, che ho condiviso, delle quali ho scritto, sulle quali mi sono data da fare quando ho agito il gesto, l’atteggiamento giusti. Quando ho spostato qualcosa da dentro a fuori, qualcosa di nuovo, di unico e mio, e l’ho messo in movimento.
Mi sa che il punto non è: quanto tempo ci vuole per far accadere una realtà davanti a me, ecco, essa prima deve essere accaduta in me. Io di ven to la situazione che desidero e che sta davanti a me.
Da anni la mia vita è questo: sperimentare l’essere il creatore della mia realtà. Meglio, il co-creatore, sono tante le parti di me che concorrono per la creazione. Su questa esperienza ho conosciuto il pensiero, le sue dinamiche, le condizioni affinché una situazione accada. In questa esperienza, la realtà in cui mi pareva di essere inserita, s’è dissolta. Ho visto il suo impianto e la sua illusione, e s’è scrollata da me. Ho visto la funzione della consapevolezza, dei 22 archetipi fondamentali, della forza, del tempo, dell’essere creatore. Il passato, la memoria, il futuro, l’adesso. Concetti. Che ci mantengono nella rete. Solo l’istante esiste e io – noi – in esso.
Ho provato tante cose, messo in luce tante dinamiche in me, portato a galla nodi, impasse, confusioni. Paure e blocchi. Potrei raccontare anche la parte della fatica, ma non si fa sentire.
Questo libro è un gioco, una specie di Jumanji del pensiero del corpo dell’etere. Perché dico dell’etere? Non so come chiamarlo né come è fatto e al momento ha altro da fare che occuparmi di definire ciò che è e che sta bene così, esiste anche se io non mi preoccupo di definirlo né in ciò che è o in ciò che serve e fa.
Facciamo conto che c’è un pieno di energia sempre a disposizione, sia chiaro che anche questo creo io – noi. Tutto posso creare attingendo a questo pieno di energia, usando certi criteri.
Oh, l’hanno detto in tanti! E più bravi di me! Più tecnicamente precisi.
Io dico le cose gio can do.
So che chi legge s’è immesso nel gioco e le parole, le situazioni descritte, iniziano a funzionare, girare, accadere nella sua vita. L’attenzione, nei miei libri, è una sola: espandere sempre più il pensiero. Dare impostazioni nuove, libere, naturali, per cui sane, alle nostre affermazioni, a parole e frasi che creo perché so bene, lo so per esperienza che: da cosa e come scrivo, dalle parole che uso, dai pensieri che scelgo di alimentare dipende ciò che mi creo all’esterno. Non m’importa se può sembrare pazzo, assurdo, tutto è possibile, tutto è sempre ri-formulabile. Dal pronunciare all’essere c’è solo la variabile del tempo, e su questo lavoriamo ogni giorno.
Il libro si è trasformato in continuazione. Mentre io vivevo, sperimentavo me stessa, la percezione della realtà e soprattutto delle impostazioni di fondo del mio esistere sono cambiate. Da un certo momento in poi non avevo più agito direttamente, lasciavo essere senza intervenire nelle situazioni. Mi allontanavo, lasciavo, venivo abbandonata, spostavo i miei movimenti, cambiavo persone, contatti, spazi. Oppure chiudevo e non immettevo nulla e nessuno di nuovo. Stavo, a volte in un vuoto della mente a volte in un nulla vasto e senza emozioni. Sereno. Sicuramente il mio agire era discutibile, ma questo non mi faceva tornare indietro e, una volta lasciate certe posizioni, non aveva senso tornare. Leggevo le situazioni, a volte le subivo o mi allontanavo, non spiegavo, non dicevo. Avevo finito anche di scrivere, di pubblicare i miei pezzi sul blog. La vita si stava semplificando. Sempre più frequenti erano i miei insight in una specie di unicità. Ciò che avevo davanti, ciò su cui mi soffermavo per osservare, mi arrivava da un altro livello di presa, di presenza e quindi di comprensione.
Dopo quel periodo il mio oggi è cambiato. Prima, di un fatto o di una situazione mi arrivavano più ipotesi, più letture e a volte mi sentivo dividere, lacerare da quanto attraversava la mia testa, ora sto in una percezione che, da sola, senza che io decida o scelga, si pone unica, la sola possibile, la sola esistente. Ciò che emerge, raccolto nell’unità, riguarda me. Sì, i contesti in cui io credevo inseriti gli altri, le persone, ora si aprono solo se io ne sono parte e dal mio ‘esserci’. Non ci sono le variabili precedenti, o le più possibilità. Non c’è più, della situazione, la parte, il lato, l’opzione che a me non piaceva, che in precedenza avrei cercato di accettare, di far conciliare pur di non essere esclusa da un mondo che condividevo.
Oggi, la situazione mi si apre davanti solo come a me va bene. Solo questa esiste.
La realtà si pone come ‘Una’ e quell’Una ha a che fare con ‘come la realtà è voluta da me’. Come a me piace. E a me piace comunque perché io vedo solo la mia, di realtà.
La porta della mia felicità è aperta.
Eh, lo so che pare un discorso strano. Così si è, e così è tutto attorno.